Giulia Niccolai


Introduzione a:  mi faranno santo,   geiger, 77

Il lettore di questo libro si renderà conto già dal titolo Mi faranno santo che l'”io”, la prima persona presente in quasi tutte le poesie, è in realtà una controfigura, una spalla. Questa prima persona che bestemmia maledice ricorda e racconta sembra tenere un diario delle proprie inspiegabili e incomprensibili emozioni, “parla” a volte come un cantautore, ha momenti di folgorante esaltazione contrapposti ad altri in cui si sente l'essere più beffato del e dal mondo; insomma questo io “vagotonico” cerca continuamente di farsi notare, di accentrare su di sé l'attenzione del pubblico, e finisce per ottenere l'effetto contrario, quello cioè di dar lustro al primo attore – in questo caso il poeta – sempre presente sulla scena ma silenzioso e volutamente in disparte. Non sono certo la semplicità e l'elementarità del linguaggio di Immovilli (linguaggio che erroneamente si potrebbe definire “spontaneo”) a produrre questo sfasamento interno alle poesie, che è invece ottenuto per interposta perona, da un io tanto meticoloso quanto fabulante.
Come scrive Giuliani (1) a proposito dei personaggi del teatro beckettiano che “dicono una cosa o l'altra sapendo in ogni istante che potrebbero dire il contrario o una cosa diversa e sarebbe lo stesso”, qui ci rendiamo conto che per l'autore tutte le parole usate per comporre un testo sono una convenzione accettata in partenza come tale, sono insomma qualcosa di esterno alla poesia che tuttavia si compie e si fa per una sua peculiare e incontrollabile precipitazione chimica.
Cosa sono ad esempio tutti i “mari” (amati, odiati, fottuti, desiderati, “e forse non era Lerici” ecc) che non hanno in realtà alcun rapporto con il vero mare e non sono nemmeno un simbolo? Il testo ci comunica soltanto che la parola “mare” è estremamente importante per qualcuno, e che questo qualcuno viene continuamente deluso: ma da cosa, dal mare? La delusione,allora, ma un tipo particolarmente infantile e cocente di delusione, è forse il leitmotiv presente in quasi tutti i testi. Abbiamo cioè un io adulto (il poeta) deciso a ricordare e vendicare i torti subiti da un io bambino (il lettore) e questa vendetta così a lungo covata si verifica finalmente nella poesia non attraverso l'invettiva ma piuttosto attraverso l'autoironia. Ma qui di nuovo siamo costretti a notare che anche l'autoironia finisce col rimandari a qualcos'altro ancora, la sentiamo insomma come una “ruse”, una scelta consapevole di tipo superstizioso o un antidoto che, se somministrato con sufficiente crudeltà, permette all'autore di fare poesia.

Giulia Niccolai




  1. Alfredo Giuliani, Le droghe di Marsiglia, Adelphi, 1977.